Che l’umana miseria suol far breve,
Più veggio ’l tempo andar veloce e leve,
E ’l mio di lui sperar fallace e scemo.
I’ dico a’ miei pensier: non molto andremo
D’amor parlando omai; chè ’l duro e greve
Terreno incarco, come fresca neve,
Si va struggendo; onde noi pace avremo:
Perchè con lui cadrà quella speranza
Che ne fe vaneggiar sì lungamente,
E ’l riso e ’l pianto e la paura e l’ira.
Sì vedrem chiaro poi come sovente
Per le cose dubbiose altri s’avanza;
E come spesso indarno si sospira.
Quanto più mi avvicino al giorno della morte/ che è solita rendere breve la miseria umana/ tanto più vedo il tempo scorrere lieve e veloce/ e la speranza riposta in lui mancare e rivelarsi vana (cioè la speranza di riuscire nel tempo a soddisfare il suo bisogno amoroso)/ e dico ai miei pensieri che non continueremo a lungo a parlare di amore/ perché questa dura e pesante esistenza terrena si va consumando come neve fresca (altri intendono per "terreno incarco" il corpo fisico)/ alla fine della quella raggiungeremo la pace / perché con la fine della vita finirà anche quella speranza che mi ha fatto vaneggiare così a lungo/ e (finirà) il riso, il pianto, la paura e l'ira (in altri termini ogni emozione) / e così ci renderemo conto di come spesso ci si affatichi per cose incerte/ e come spesso si sospiri inutilmente (cioè senza poter appagare i propri desideri)
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