Genio. Il
sonno, l'oppio, e il dolore. E questo è il più potente di tutti; perché l'uomo
mentre patisce, non si annoia per niuna maniera.
Tasso.
In cambio di cotesta medicina, io mi contento di annoiarmi tutta la vita. Ma
pure la varietà delle azioni, delle occupazioni e dei sentimenti, se bene non
ci libera dalla noia, perché non ci crea diletto vero, contuttociò la solleva
ed alleggerisce. Laddove in questa prigionia, separato dal commercio umano,
toltomi eziandio lo scrivere, ridotto a notare per passatempo i tocchi
dell'oriuolo, annoverare i correnti, le fessure e i tarli del palco,
considerare il mattonato del pavimento, trastullarmi colle farfalle e coi moscherini
che vanno attorno alla stanza, condurre quasi tutte le ore a un modo; io non ho
cosa che mi scemi in alcuna parte il carico della noia.
Genio.
Dimmi: quanto tempo ha che tu sei ridotto a cotesta forma di vita?
Tasso.
Più settimane, come tu sai.
Genio.
Non conosci tu dal primo giorno al presente, alcuna diversità nel fastidio che
ella ti reca?
Tasso. Certo
che io lo provava maggiore a principio: perché di mano in mano la mente, non
occupata da altro e non isvagata, mi si viene accostumando a conversare seco
medesima assai più e con maggior sollazzo di prima, e acquistando un abito e
una virtù di favellare in se stessa, anzi di cicalare, tale, che parecchie
volte mi pare quasi avere una compagnia di persone in capo che stieno
ragionando, e ogni menomo soggetto che mi si appresenti al pensiero, mi basta a
farne tra me e me una gran diceria.
Genio.
Cotesto abito te lo vedrai confermare e accrescere di giorno in giorno per
modo, che quando poi ti si renda la facoltà di usare cogli altri uomini, ti
parrà essere più disoccupato stando in compagnia loro, che in solitudine. E
quest'assuefazione in sì fatto tenore di vita, non credere che intervenga solo
a' tuoi simili, già consueti a meditare; ma ella interviene in più o men tempo
a chicchessia. Di più, l'essere diviso dagli uomini e, per dir così, dalla vita
stessa, porta seco questa utilità; che l'uomo, eziandio sazio, chiarito e
disamorato delle cose umane per l'esperienza; a poco a poco assuefacendosi di
nuovo a mirarle da lungi, donde elle paiono molto più belle e più degne che da
vicino, si dimentica della loro vanità e miseria; torna a formarsi e quasi
crearsi il mondo a suo modo; apprezzare, amare e desiderare la vita; delle cui
speranze, se non gli è tolto o il potere o il confidare di restituirsi alla società
degli uomini, si va nutrendo e dilettando, come egli soleva a' suoi primi anni.
Di modo che la solitudine fa quasi l'ufficio della gioventù; o certo
ringiovanisce l'animo, ravvalora e rimette in opera l'immaginazione, e rinnuova
nell'uomo esperimentato i beneficii di quella prima inesperienza che tu
sospiri. Io ti lascio; che veggo che il sonno ti viene entrando; e me ne vo ad
apparecchiare il bel sogno che ti ho promesso. Così, tra sognare e
fantasticare, andrai consumando la vita; non con altra utilità che di
consumarla; che questo è l'unico frutto che al mondo se ne può avere, e l'unico
intento che voi vi dovete proporre ogni mattina in sullo svegliarvi.
Spessissimo ve la conviene strascinare co' denti: beato quel dì che potete o
trarvela dietro colle mani, o portarla in sul dosso. Ma, in fine, il tuo tempo
non è più lento a correre in questa carcere, che sia nelle sale e negli orti
quello di chi ti opprime. Addio.
Nessun commento:
Posta un commento